Beatrice viaggia stando ferma

Giovanni, Abraham e la terra straniera

Da anni faccio parte di un’associazione che si occupa di migranti e rifugiati; ci stanno a cuore i diritti e la loro accoglienza. Le attività che proponiamo sono tante e i corsi di italiano sono fra queste.
E’ così che ho conosciuto Abraham ed è di lui, più che di me, che voglio parlare per far capire il senso di ciò che faccio come volontario.
Abraham è ben voluto da tutti gli amici della casa di accoglienza dove vive, si è trovato a suo agio fin dall’inizio; lì c’è un bel clima amicale ed è facile collaborare nella gestione della quotidianità.
Però mi dice sempre che non può accontentarsi della situazione attuale, deve guardare al futuro. Garantirsi un futuro passa attraverso la conquista di un posto di lavoro e questo a sua volta richiede la conoscenza della lingua italiana. Ma non è solo per il lavoro che vuole imparare la nostra lingua.
Già nei primissimi giorni della sua lunga vita di migrante, Abraham si è reso conto che poter comunicare è il primo bastione contro la solitudine.

Superato il confine, mente si avventurava in un mondo di suoni incompressibili, ha capito che raccontarsi è avvicinarsi reciprocamente, che dialogare è farsi prossimi, concedendo mutuamente il proprio mondo interiore. Non riuscendo a farlo, era diventato estraneo anche alla possibilità di ascoltare per accogliere il mondo altrui e di poter comunicare il suo affetto. Era diventato estraneo a sé stesso. Quando si è reso conto che essere la terra straniera di sé stessi è la più spietata e opprimente delle prigioni, si è detto che avrebbe dato il massimo per imparare l’italiano. E’ così che ha deciso che partecipare ai nostri corsi sarebbe stato per lui l’impegno più importante. Io sono solo un minuscolo tassello della sua storia, ma mi basata questo per sentirmi felice.

Giovanni – CIAC Onlus