Mariapia fa aprire le persone
Anna Maria: il potere della musica
Titta accarezzò dolcemente i tasti del pianoforte; le sue dita, gonfie e incerottate a causa di un’infezione cercarono tremanti le note, poi “ Per Elisa” cominciò a prendere corpo, il suono diventò più sicuro, la musica si diffuse nell’aria e aveva il profumo di qualcosa di magico. Titta si trasformò, pian piano si staccò dallo schienale della poltrona e si mise dritta, i gomiti in giusta posizione, il volto si distese, le mani non tremarono più. Alla fine un sorriso chiuse l’esecuzione, poi si riappoggiò alla poltrona sfinita, noi attorno a lei che applaudivamo emozionate e commosse, convinte di avere assistito a un evento straordinario. Titta si era riappropriata di una parte di se stessa, quella che la malattia stava cercando di rubarle. Era tornata ad essere, seppure per poco, la giovane donna che era stata un tempo, sensibile ma forte e sicura, lontana dalla fragilità e dal dolore che la malattia le stava infliggendo.
Ho incontrato Titta per la prima volta in Hospice, abbandonata sulla sedia a rotelle spinta dalla mamma. Si stava concedendo l’unica “passeggiata” possibile, avanti e indietro lungo i corridoi dell’ospedale. Mi presentai come volontaria dell’Associazione Amici Piccole Figlie e cominciammo a camminare insieme. Quando passammo davanti alla sala col pianoforte, mi accorsi che Titta allungava il collo per guardare all’interno; nei suoi occhi vidi un guizzo di curiosità: entrammo e spiegai che lo strumento era lì perché Monica, una OSS terapeuta, lo suonava per allietare i pazienti ricoverati.
Nei giorni seguenti scoprimmo che a casa Titta possedeva un grande pianoforte a coda, sul quale si stava ormai depositando la polvere dell’abbandono. Consapevole del suo grande amore per la musica, un volontario decise di organizzare un concerto in suo onore. I preparativi si fecero urgenti perché Titta si stava aggravando velocemente. La morte stava seduta in un angolo della sua stanza, qualche volta mi sembrava di vederla che si alzava, si avvicinava al letto, allungava una mano per ghermirla, poi la ritraeva vinta dalla forza di Titta che voleva a tutti i costi arrivare a quel giorno. E finalmente quel giorno arrivò.
Titta fu delicatamente coricata su una poltrona speciale e poté così assistere al suo concerto, circondata da tanti pazienti e da tante persone che le volevano bene. Il volto di Titta si illuminò. Non potrò mai dimenticarmi quel nostro incontro, quella parentesi magica che si aprì quando la musica di Chopin che usciva dalle dita del direttore del Conservatorio volava nella stanza e sembrava volesse parlarci; sembrava volesse unirci con quelle note che, suonate una dopo l’altra, formavano una figura, una geometria che ci faceva sentire vicini, e ci permetteva di condividere quel dolore che ci portavamo dentro ogni giorno.
Il mattino seguente Titta abbandonò il suo corpo e spalancò la porta su quell’indecifrabile infinito che non appartiene alla sfera dell’umano ma a quella del divino: sono sicura che ad accompagnarla in questo ultimo viaggio siano state le note di un notturno di Chopin.